mercoledì 23 luglio 2014

ZAC



ZAC


di


NADIA CONSANI












Un giorno troverò il coraggio di allentare il freno e lasciarmi andare, lo troverò – pensava.

Mentre un leggero vento di maestrale increspava il mare e le piccole onde riflettevano i colori del tramonto, lo specchio d'acqua mandava riflessi porporini e dorati e alcuni gabbiani sostavano sugli scogli guardando verso l'orizzonte, come se aspettassero l'oscurità per riposare. Sugli scogli, la sagoma in controluce di un pescatore solitario si apprestava a riporre i suoi attrezzi e una barca a vela in lontananza rientrava in porto. Sembravano annunciare che un'altra giornata stava finendo.
Era il momento preferito da Ruggero e anche quella sera assisteva in silenzio allo spettacolo.
Sullo spiazzo sovrastante la scogliera, a volte con il suo cane accanto, restava spesso ad osservare pensieroso la bellezza del mare e del cielo fino a che il sole scompariva.


Tipo di poche parole, non aveva amici, o perlomeno non molti, si confidava soltanto con Michele che abitava vicino a lui e qualche volta uscivano insieme per fare una partita a carte e bere qualcosa al bar vicino casa. 
Nonostante Michele fosse un uomo di una certa età, molto più grande di Ruggero che ne aveva quaranta, gli voleva bene e lo confortava ogni volta che lo vedeva giù di morale. 
«Devi farti degli amici, conoscere qualche altra donna – gli aveva detto dopo pranzo, mentre bevevano il caffè al bar – non puoi stare sempre da solo a pensare al passato, devi distrarti se non vuoi cadere in depressione.»
«Pensi che sia facile?»
«No, ma se tu fossi meno ostile con te stesso, forse avresti qualche amico in più e magari anche una compagna».
Ruggero posò nervosamente la tazzina sul tavolo e accese una sigaretta, restando in silenzio.
«Non eri così, prima, - continuò Michele mettendogli una mano sulla spalla - dovresti essere meno orgoglioso e un po' più socievole con le persone che vogliono starti vicino, non puoi sempre mandarle tutte a quel paese.»



Quando il sole era ormai tramontato, Ruggero salì in macchina e si avviò verso casa accendendo lo stereo a tutto volume, quasi a voler annullare con la musica i ricordi che lo tormentavano.

Abitava in una villetta fuori città, circondata da un giardino pieno di alberi e aiuole fiorite; un grande cancello di ferro battuto chiudeva il vialetto che portava al garage, mentre uno più piccolo, posto di lato, dava l'accesso all'abitazione. 
Senza scendere di macchina, aprì con il telecomando la cancellata e subito Zac gli venne incontro scodinzolando, poi seguendolo fino al garage, abbaiava, quasi a volerlo rimproverare perché quel giorno lo aveva lasciato a casa. 
Era un bellissimo Labrador Retriever di dodici anni che gli era stato regalato da Arianna, la sua ex fidanzata, quando Zac era soltanto un batuffolo di pelo bianco e con un musetto dagli occhi languidi. Nonostante l'età era un cane forte, sempre attivo e metteva ancora in pratica gli insegnamenti che aveva ricevuti dal suo addestratore. 
Se Ruggero era in casa, gli stava sempre vicino e sembrava ascoltarlo quando gli ricordava le scorribande che facevano insieme durante i primi anni di vita, oppure quando si lamentava perché aveva qualche problema.


«Ciao Zac, sì, sì, sono tornato, dammi la zampa! - gli disse mentre apriva lo sportello della macchina – Vieni in casa che ti preparo qualcosa da mangiare.»

L'appartamento di Ruggero era al pianoterra della villetta, mentre al primo piano c'era quello della madre, ormai vedova da diversi anni. Da lei saliva soltanto quando lo invitava a pranzo o quando veniva a trovarla suo fratello, altrimenti cucinava e puliva casa da sé.

Si era creato la sua indipendenza e non voleva assolutamente che la madre lo aiutasse nelle faccende domestiche o gli preparasse da mangiare, salvo quando non stava bene e doveva restare a letto. 

Sempre dopo cena, lei lo chiamava col citofono interno per dargli la buonanotte e per sentire se aveva bisogno di qualcosa, ma quella sera non avrebbe voluto neppure rispondere, aveva i nervi a pezzi.

«Mamma, va tutto bene, non ho bisogno di niente, buonanotte!»
«Aspetta, volevo dirti che ha telefonato Elisa, mi ha detto che aveva provato a chiamarti sul cellulare, ma lo avevi spento.» 
«Va bene, ciao, grazie!» Ruggero stava per mettere giù il ricevitore ma sua madre, con voce calma e decisa, lo trattenne.
«Non puoi essere sempre scontroso con tutti, chiamala!»
«Buonanotte, mamma!»

Zac intuiva quando il suo padrone era nervoso e ogni volta gli si avvicinava poggiando il muso sulle sue gambe come a voler dire – ci sono io a farti compagnia – mentre Ruggero lo accarezzava sulla testa.
«Lo so, Zac, che mi vuoi bene... su, andiamo a preparare qualcosa da mangiare per tutti e due e tu portami la busta delle tue crocchette!»
Sembrava quasi impossibile che un animale potesse capire, ma Zac era un cane addestrato, particolarmente intelligente e soprattutto adorava Ruggero, lo seguiva ovunque e aveva imparato ad aiutarlo fin da quando era un cucciolo. Se gli cadeva un tovagliolo o il pacchetto delle sigarette, Zac li raccoglieva e glieli porgeva; quando squillava il cellulare che era poggiato distante da dove si trovava Ruggero, lo prendeva in bocca delicatamente e glielo consegnava aspettando una carezza. Sembrava un cane al quale manca soltanto la parola, come quelli che si vedono nei film. 

Mentre Ruggero aspettava che una fetta di carne si arrostisse sulla griglia, porse la ciotola a Zac con il cibo. 
Non voleva pensare a Elisa e forse non l'avrebbe chiamata, non quella sera.
Il cane non mangiò subito, sembrava che aspettasse di cominciare insieme al padrone e scodinzolando si avvicinò a Ruggero che si stava mettendo il pigiama. Era molto stanco, gli faceva male la schiena e non vedeva il momento di distendersi sul letto, guardare il soffitto e aspettare che il sonno scacciasse i ricordi.
«Zac, portami le ciabatte... dai pigrone, lo vedi che non posso piegarmi?» gli parlava e gli chiedeva di aiutarlo indicandogli l'oggetto da prendere, come se fosse una persona e Zac, ubbidiva. 

Avrebbe dovuto chiamare Elisa, ma dopo tanti giorni di silenzio non aveva voglia di giustificarsi o dire sempre le stesse cose per poi finire a litigare, come era successo l'ultima volta che si erano sentiti. Non sopportava di sentirsi inferiore ad una donna, dipendere da lei perché non aveva più un lavoro, anche se aveva qualche soldo in banca, e poi, aveva smesso di credere nell'amore, nell'amicizia, negli affetti incondizionati. Tutto finisce, tutto stanca, tutto è destinato a consumarsi nel nulla. Meglio una scopata ogni tanto con qualche ragazza del paese più sveglia delle altre, un regalino e arrivederci e grazie. 
Da quando la relazione con Arianna era finita, aveva modificato anche il suo carattere, non l'aveva ancora dimenticata, eppure erano passati ormai tanti anni.



Zac cominciò ad abbaiare mentre il fumo stava invadendo la cucina, quella fetta di carne sulla griglia era diventato un pezzo di carbone.
«Accidenti, accidenti alle donne! Zac, lo vedi cosa succede quando il cervello va oltre? Ora cosa mangio?»
Zac lo guardava con le orecchie abbassate e forse pensava che almeno il suo pasto era salvo.
Ruggero buttò nel lavello la griglia con la carne affumicata e imprecando si consolò mangiando un po' di formaggio e del salame affettato. 
Era troppo inquieto, ripensava ad Arianna, ad Elisa, alla sua vita e non trovava alcuna soluzione che lo potesse far stare meglio. Forse l'unica era quella di dormirci sopra, se ci fosse riuscito, ma anche le sue notti erano agitate e piene di incubi.

Finalmente il fumo era uscito completamente dalla finestra di cucina ed era rimasto soltanto un po' di odore di carne bruciata nell'aria, ma con un po' di deodorante sarebbe andato via. 
Stava rimettendo a posto la bomboletta, quando sentì suonare il campanello. 
Ma è tardi, chi può essere a quest'ora che viene a rompere le palle? - pensò, mentre andava a guardare al video-citofono. 
Era Elisa.
«Zac, è Elisa, fai piano, non abbaiare, non voglio aprire.»
Zac si era accucciato in terra e aspettava che il suo padrone decidesse cosa fare, ma lo guardava e guaiva piano come se volesse convincerlo ad aprire la porta.
«Zitto!» disse sottovoce Ruggero, mentre il campanello aveva già suonato diverse volte. 
Non aprì.
Rimase per un po' vicino al citofono con la testa china e le mani sul viso, avrebbe voluto prendersi a schiaffi, ma la ragione ebbe il sopravvento sui sentimenti e almeno quella sera sentì di aver fatto bene a non aprire la porta. 


Elisa era una ragazza carina, non bellissima, ma aveva un corpo armonioso fasciato da quei jeans neri e dalla camicetta bianca che lasciava intravedere il seno sodo. I capelli neri tagliati corti le davano poi un'aria così sbarazzina, che Ruggero ne rimase subito incantato. Aveva un animo nobile, paziente e lo amava davvero, nonostante tutto.
Si erano conosciuti l'anno prima, al solito bar dove Ruggero passava qualche ora con Michele a giocare a carte, era sua nipote.
Quando qualche mese prima Michele gliela presentò, si sentì imbarazzato perché non era vestito neanche bene e aveva la barba di tre giorni, pareva un accattone, però il suo bel viso sorridente, lo sguardo intrigante e i modi gentili per l'occasione, colpirono subito Elisa che si fermò volentieri a parlare al tavolo con loro.
Sembrava che Elisa non avesse fatto caso all'imbarazzo di Ruggero, anzi, con aria scherzosa gli disse: 
«Stai davvero bene con la barba incolta, sembri un attore!»


Da quando Arianna lo aveva lasciato, non si era più innamorato o perlomeno non aveva più voluto innamorarsi, ma Elisa era riuscita a sciogliere un po' la durezza del suo carattere e piano piano Ruggero aveva cominciato a stare volentieri con lei e a confidarle i suoi pensieri, i suoi dolori, le sue incertezze.
Qualche volta la portava con sé alla scogliera e insieme guardavano il tramonto, in silenzio quasi sacrale e fu proprio in quel posto così romantico che un giorno Elisa lo baciò, lo guardò negli occhi e gli disse che avrebbe affrontato qualsiasi sacrificio pur di stargli vicino.
Ruggero l'allontanò bruscamente e con gli occhi lucidi le disse: «Vattene, lasciami in pace!» Poi con più calma la invitò a risalire in macchina e tornarono a casa.
Tante volte Elisa gli aveva chiesto della sua passata relazione con Arianna, si era accorta che lui non l'aveva dimenticata, doveva esserci qualcosa di più di una semplice interruzione del rapporto, perché dopo tanti anni non era possibile che lui ne soffrisse ancora, ma Ruggero le aveva raccontato soltanto qualche piccolo particolare su come l'aveva conosciuta, che si erano fidanzati ma non convivevano, anche se qualche fine settimana lui restava da lei e lei più raramente da lui, perché la farmacia non le dava la possibilità di avere più tempo libero. 
Però facevano progetti per sposarsi, non appena Ruggero avesse avuto la possibilità di comprare una casa nel paese dove viveva Arianna, perché lei abitava ancora con i genitori.



«Caro Zac, i sentimenti sono pericolosi, ti fanno soffrire, poi rimani deluso, fregato, solo - diceva mentre tornava in cucina – sì, è stato meglio non aver aperto e farla finita anche con Elisa, tanto le donne sono tutte uguali, ti amano solo se sei bello, forte, sano e con tanti soldi e al minimo intoppo, scelgono un altro.»
Zac lo guardava scodinzolando.
«Lo so, lo so che per te non hanno nessuna importanza queste cose, tu mi vorrai sempre bene, ma questa è la vita e per noi umani è solo questa. Su, andiamo a letto che sono stanco!» 

Sdraiato sul letto vede il soffitto che scende, è sempre più basso, lo schiaccia come una morsa, lo soffoca, resta lì indolente e aspetta che lo spazio si riduca fino a toccare la pelle, che annulli i ricordi e che si faccia buio per sempre. 
In sequenza convulsa scorrono i giorni passati insieme ad Arianna... vede il suo bel viso sorridere o gli occhi umidi che lo fissano mentre lei gli dice addio... corre insieme a lei nel bosco e subito dopo vede solo il buio... e poi Zac, che gli corre incontro e resta con la testa sulle sue ginocchia, mugolando... col pensiero torna a quel primo giorno che passò con la donna che avrebbe voluto con sé per sempre e a quel momento che stravolse la sua vita...poi rivede di nuovo Zac... e ancora il buio. 
Come spesso faceva, pianse prima di addormentarsi esausto.


Aveva passato la notte svegliandosi più volte e la mattina dopo, si sentì come se fosse passato sotto una betoniera. Doveva fare subito una doccia rilassante, prima ancora di fare colazione.
Zac si alzò di scatto e andò vicino al suo padrone che gli fece una carezza.
«Buongiorno dormiglione, almeno tu hai il sonno pesante - gli disse con voce rauca mentre il cane si era poggiato con le zampe sulle sue gambe – no, no, non ho bisogno di niente per ora, vai giù!»


Ruggero, aveva ideato e organizzato l'appartamento con tutte le possibili varianti utili per le sue necessità, in modo che poteva svolgere qualsiasi cosa, senza l'aiuto di nessuno. Tutto era tecnologicamente perfetto e perfino le luci si accendevano con un telecomando.
Con ancora l'accappatoio addosso e un po' ritemprato dall'acqua calda, mise sul fuoco il caffè e apparecchiò per la colazione.
«Ehi, Zac, ti ricordi di quella volta che scivolai nel rio vicino casa? Che stupido, ti volli portare nel boschetto per farti divertire e finii per combinare un guaio. Avevi solo due anni, ma eri già un cane forte e intelligente.»


Quel giorno Arianna era rimasta a dormire a casa di Ruggero, ogni tanto restava da lui nel fine settimana perché abitava fuori città. 
Aveva piovuto durante la notte, ma la mattina il sole di fine estate era ancora abbastanza caldo da asciugare i prati circostanti, così Ruggero decise di portare Zac a fare un giro nel parco, mentre Arianna era rimasta a letto.
«Prendi il guinzaglio, Zac, andiamo al rio!»
Era il posto preferito dal cane, si divertiva a sguazzare in quel rigagnolo d'acqua, poi andava vicino a Ruggero e scuotendosi gli faceva fare la doccia, poi scappava, così Ruggero lo rincorreva facendo finta di rimproverarlo. Correvano fino ad un vecchio albero, Ruggero rideva, lo incitava e si sdraiava in terra per lasciare che Zac gli saltasse addosso felice, leccandogli il viso. Non gli importava che lo sporcasse di acqua e fango, perché per lui era troppo bello sentire l'affetto di quel cane dagli occhi buoni e intelligenti. 

Stava ancora sonnecchiando Zac, ma appena sentì la parola guinzaglio, si alzò immediatamente, corse alla sedia dove di solito era poggiato e prendendolo in bocca lo portò al padrone che stava aspettando fuori della porta.
C'era una leggera nebbia e l'aria si era un po' rinfrescata, ma era solo l'effetto dell'umidità notturna, tra poco il sole sarebbe stato alto e Zac sicuramente avrebbe fatto il solito bagno.
Stavano camminando lungo il sentiero che costeggiava il rio, quando il terreno coperto dall'erba e reso scivoloso dalla pioggia, franò sotto i piedi di Ruggero che scivolò sul greto sottostante. 
Gli doleva un ginocchio, non riusciva ad alzarsi, mentre Zac cercava di tirarlo su per la manica del giubbotto.
Senza essere troppo convinto che capisse, disse a Zac di andare da Arianna e di portarla lì. 
Non è mica Lassie, figuriamoci se mi capisce – pensò fra sé.

Fu la prima e l'ultima volta che Ruggero sottovalutò il suo cane, perché Arianna corse immediatamente, dopo che Zac abbaiando, si era fatto seguire fino al rio. 
Lei lo aiutò ad alzarsi per essere in grado di tornare verso casa, sia pure zoppicando, e chiamare il medico. Gli prescrisse qualche giorno di riposo tenendo la gamba distesa con il ghiaccio sul ginocchio e anche se non aveva niente di rotto, gli consigliò di camminare con le stampelle senza poggiare il piede in terra. 



Ruggero aveva conosciuto Arianna una mattina che passava dal suo paese, lontano pochi chilometri dalla città.
Era laureato in scienze politiche, ma faceva il capo-gruppo di rappresentanti di medicine, perché era stato il primo lavoro ben retribuito che aveva trovato, dopo aver fatto un corso di specializzazione.
Quel giorno aveva un appuntamento, concordato dalla casa farmaceutica per cui lavorava, con la farmacia dove Arianna era la titolare.
Fu quasi amore a prima vista.
Lui, un bel trentenne alto, con i capelli castani un po' più lunghi del normale, occhi verdi su un viso dai lineamenti interessanti e l'andatura da sportivo. 
Lei bruna, corpo esile ben proporzionato, con altezza oltre la media e una voce che incantava anche le pietre.
Si erano quasi dimenticati che Ruggero doveva richiedere l'ordine dei prodotti che necessitavano alla farmacia, perché parlarono a lungo di tutto, fuorché di medicinali.
Arianna era una ragazza dall'aspetto aristocratico e si capiva che era di famiglia benestante, perché gli disse che i genitori le avevano dato la possibilità di condurre la farmacia in proprio, sia pure piccola, ma fondamentale per il paese.
Anche Ruggero le disse che non se la passava male con il suo lavoro perché gli dava la possibilità di non farsi mancare niente, ma i suoi genitori erano semplici persone, che avevano lavorato una vita per comprarsi una villetta e aiutarlo per farsi una posizione di rilievo.
Finalmente Ruggero riempì il modulo d'ordine, ma prima di salutarla, disse ad Arianna che sarebbe ripassato a trovarla un giorno che fosse stato libero da impegni di lavoro, se naturalmente le avesse fatto piacere.

Lo vide apparire una mattina, mentre stava servendo una persona che faceva parte di una lunga fila in attesa, nonostante fosse quasi l'ora di chiusura. Il suo cuore ebbe un balzo.
«Ciao, passavo di qua per caso e ho pensato di farti un salutino» disse Ruggero con un sorriso malizioso.
«Ciao, grazie, se aspetti che abbia finito, andiamo a prendere un aperitivo insieme» gli rispose Arianna, quasi arrossendo per aver preso l'iniziativa di invitarlo a bere qualcosa. Avrebbe potuto salutarlo velocemente anche se con cortesia, interrompendo per un attimo la vendita, ma le era piaciuto subito quel ragazzo e non voleva perdere l'occasione di incontrarlo di nuovo.

Aveva fumato almeno tre sigarette aspettando Arianna che chiudesse la farmacia, ma Ruggero non si era annoiato perché pensava ai prossimi incontri che ci sarebbero stati, a cosa le avrebbe detto e cosa lei avrebbe risposto dopo averle chiesto di andare in collina a bere un aperitivo e mangiare qualcosa.
Sarebbero stati insieme almeno fino alla riapertura della farmacia.

«Ciao, eccomi e scusa se ti ho fatto aspettare, ma chissà perché la gente viene sempre a quest'ora, come stai?» gli disse arrossata in viso, mentre gli porgeva la mano.
«Ho aspettato volentieri, lo so che avere una farmacia è come essere in un porto di mare, gente che va e gente che viene - le rispose Ruggero sorridendo – spero che ne valga la pena, perché volevo chiederti di andare a mangiare qualcosa in quella piccola trattoria su in collina.»
«Ah, da Tonino, sì va bene, ci vengo volentieri tanto oggi pomeriggio è turno di riposo.»
«Allora, com'è andata questa settimana, ti sono mancato?» le disse con tono scherzoso, prendendola sottobraccio come se si conoscessero da tanto tempo.
Al primo approccio con le ragazze, Ruggero era sempre stato considerato il bel tenebroso, perché gli piaceva farsi desiderare, creare intorno a sé un po' di curiosità, ma con Arianna gli venne spontaneo di comportarsi subito in modo naturale, senza apparire introverso e distaccato.
«Sono stanchissima, abbiamo dovuto fare anche l'inventario e menomale che mio padre mi ha aiutata, altrimenti oggi non sarei potuta venire con te.» 
Lo guardò con aria maliziosa e poi ridendo: «Sì, sono contenta che tu sia tornato.»
Salirono sulla macchina di Ruggero e si avviarono verso la trattoria di Tonino, incuriositi di sapere ogni cosa l'uno dell'altra.


Arianna gli aveva detto che i suoi genitori erano un po' all'antica e nonostante fosse ormai una donna di ventotto anni, pretendevano ancora di controllarla e di influenzarla nelle sue scelte.
Sua madre era una donnina gracile, di mezza età, piuttosto tranquilla e forse se fosse dipeso da lei, Arianna avrebbe avuto un po' più di indipendenza. 
Suo padre, al contrario, era un uomo tutto d'un pezzo che sembrava più un generale dell'esercito, piuttosto che un medico della mutua. Aveva un ambulatorio vicino alla farmacia della figlia, così che oltre ai suoi pazienti, poteva anche controllare i movimenti di Arianna.
«Allora, tuo padre controlla anche le uscite con qualche tuo corteggiatore?» Le chiese Ruggero, mentre sorseggiava un po' di ottimo vino.
Arianna stava gustando, sorridendo, la polenta con i funghi ma a quella domanda si fece seria.
«Scusami, non volevo essere invadente, ho visto che hai cambiato espressione...» Poi, un po' a disagio, le poggiò una mano sul braccio.
«No, non preoccuparti... sai, mio padre mi vuole talmente bene, che crede di pilotare al meglio anche la mia vita, oltre quella di mia madre.»

Arianna era reduce da una storia sentimentale, finita proprio per interferenza del padre. A lui non era mai piaciuto quell'uomo molto più grande di sua figlia e gli fece capire fin da subito, la sua ostilità.
«Per due anni ho avuto una storia con un uomo di quasi quarantanni e pochi mesi fa mio padre, dopo tanti tentativi falliti, mi ha convinto a lasciarlo.»
«Non capisco, – disse Ruggero, cercando di non apparire troppo curioso – tuo padre ha convinto te a lasciarlo?»
«Sì, ma... prima o poi avrei deciso ugualmente di finire il rapporto, mio padre ha solo fatto anticipare un po' i tempi.»
Il cameriere si avvicinò al loro tavolo per chiedere se volevano un dolce, così il discorso fu interrotto e Ruggero non le chiese più niente, ma cambiò argomento.
«Facciamo una cosa, se ti va, mangiamo il dolce, prendiamo il caffè e poi ce ne andiamo a fare due passi lungo il fiume, fino alla cascata.»


Quando Ruggero, dopo qualche mese che si frequentavano, fu invitato a casa dei genitori di Arianna, ebbe il presentimento che non si sarebbero piaciuti a vicenda, o perlomeno che il padre non sarebbe stato in sintonia con il suo modo di pensare.
Eppure era laureato, aveva un lavoro dignitoso e ben remunerativo, era un bel ragazzo di trentanni che faceva anche atletica come passatempo e aveva una famiglia semplice ma onesta. Di che cosa poteva aver paura?

Si stava facendo la barba quando sentì squillare il telefono. 
«Tesoro, sei pronto? Sai, mio padre vuole la puntualità in tutto e siamo già in ritardo.» 
«Accidenti, Arianna, ho finito di lavorare da poco, ho fatto la doccia e finisco di farmi la barba. Dammi il tempo di vestirmi e passo a prenderti. Tuo padre capirà. Ciao.»

- Cominciamo bene! - pensava innervosito, mentre non sapeva neppure come vestirsi per l'occasione. Si sentiva come quello che deve passare un esame universitario, anzi in una caserma militare.
Non si era mai sentito a suo agio, Ruggero, a casa dei suoceri, ma per amore di Arianna sopportava gli interrogatori di terzo grado del padre e le lamentele della madre, che per fortuna non erano frequenti perché con la scusa del lavoro, cercava di diradare gli incontri.


Dal giorno in cui Ruggero scivolò giù dall'argine del rio e quindi doveva stare a riposo in casa, Arianna decise di trasferirsi da lui per qualche giorno e per non trascurare la farmacia, si faceva aiutare da una giovane dottoressa, sua amica. Erano felici insieme e nel frattempo facevano progetti per sposarsi, con o senza il beneplacito del "Generale", che non era molto contento della decisione della figlia.

Nonostante il riposo e la fisioterapia, Ruggero non migliorava, si sentiva sempre stanco e dopo aver fatto qualche passo doveva subito mettersi a sedere.
Zac lo seguiva sempre, come se volesse proteggerlo da una eventuale caduta, o gli poggiava le zampe sulle ginocchia quando stava seduto, guardandolo come a dire - non preoccuparti, ci sono qua io ad aiutarti -
«Zac, mi dispiace, non posso portarti fuori a correre, devi accontentarti di andare in giardino, ma quando sarò guarito, andremo a vedere il mare dalla scogliera.» Gli diceva Ruggero, accarezzandolo e con le lacrime agli occhi.






«Mi dispiace, Ruggero - gli disse un giorno il suo amico medico - le analisi non vanno molto bene, ci sono dei valori che non mi convincono e dovrai fare degli esami più approfonditi.»
«Ma sono caduto e mi sono slogato soltanto una caviglia, che tipo di esami devo ancora fare? Vedrai che tra qualche giorno starò meglio.»
«Non allarmarti, ma i sintomi della tua stanchezza, della difficoltà a stare in piedi e i disturbi sporadici alla vista, mi fanno pensare che la tua caduta non sia stata soltanto accidentale. Devi fare prima di tutto una RMN...»
«Cosa cazzo è una RMN?»
«Calmati, non ti agitare, è una Risonanza Magnetica Nucleare che serve per vedere se ci sono lesioni da sclerosi multipla, ma non è detto che sia così... però è meglio controllare.» 

Se il terremoto che Ruggero sentiva dentro di sé, avesse potuto scuotere le pareti, sarebbe crollata, in quel momento, tutta la casa. Si alzò barcollando e prese per il petto il dottore, gridando con tutto il fiato che aveva e imprecando Dio. 
Poi, si lasciò andare di nuovo sulla poltrona, con le mani sul viso e disse: «Lasciami, solo!» 






«Ciao amore, sono tornata!»
Arianna, quasi di corsa perché era tardi per preparare la cena e accaldata per l'intensa giornata passata alla farmacia, lasciò la borsa sopra una vecchia sedia nell'ingresso e si avviò in salotto dove di solito Ruggero riposava guardando un po' di televisione o ascoltando musica.
«Zac, perché non mi vieni a salutare? Ma... dove siete?»


Il tramonto aveva arrossato il cielo, cosparso di striature azzurrine e il mare sotto la scogliera era calmo e silenzioso, come se volesse ascoltare il respiro un po' affannato di Ruggero che si era seduto sopra una roccia ancora calda per il sole.
Zac era accanto a lui, con il muso appoggiato sulle sue gambe e ogni tanto guardava il padrone, aspettando una carezza.
«Caro il mio vecchio Zac, resterai solo tu con me, dopo che sarò un uomo finito, solo tu non vedrai la differenza e continuerai a volermi bene senza pretendere niente.»
Ruggero stava fissando il confine tra il cielo e il mare, mille pensieri si alternavano scivolando dalla mente al cuore, come un mazzo di carte appena aperto e lasciato cadere a ventaglio sopra un tavolo da gioco. Vedeva la sua vita futura come una sequenza di immagini sovrapposte, che delineavano il risultato di un'esistenza vuota, difficile e insopportabile.
Come faccio a dirlo a Arianna? - pensava - come potrebbe sopportare la convivenza con un uomo che diventerà una larva senza speranza? Lei è così giovane, e bella, e impegnata con il suo lavoro e poi... suo padre... non permetterà alla figlia di rovinarsi la vita per me. Un giorno troverò il coraggio di lasciarmi andare giù, lo troverò.

Zac si alzò di scatto, come se avesse intuito i suoi pensieri e gli leccava il viso.
«Tranquillo, Zac, non saprai quando sarà il momento, mi aspetterai come se fossi partito per lavoro, lo hai sempre fatto. Piuttosto, aiutami ad alzarmi... stai fermo che mi appoggio a te... Su, andiamo a casa!»



Quando Ruggero aprì il cancello con il telecomando, vide Arianna sulla porta di casa che li stava aspettando. 
«Dove siete stati? Amore, sai che non ti devi affaticare e sei andato via senza avvisarmi. Volevo chiamarti, ma hai lasciato il cellulare in casa... cosa è successo?»
L'aiutò a scendere di macchina porgendogli le stampelle e abbracciandolo, si accorse che aveva pianto. 
«Dio mio, Ruggero, cos'hai, perché hai pianto?»
«Non ho pianto, mi era entrato un moscerino nell'occhio, non preoccuparti e rientriamo in casa, sono molto stanco.»

La tavola era apparecchiata e un profumo di arrosto invadeva la cucina, ma Ruggero si sdraiò sul divano dicendo che non aveva fame.
«Cosa mi nascondi, Ruggero? Non sei più lo stesso, mi rispondi sempre male, non apprezzi il mio sacrificio nel dividermi tra il lavoro e...»
«Ecco... brava! Parli già di sacrificio e sono appena agli inizi... Francesco mi ha detto che forse ho la sclerosi multipla... dovrò fare delle analisi più specifiche... quindi ti conviene lasciarmi perdere.»
Arianna lasciò cadere per terra il vassoio dell'arrosto che stava portando in tavola e si mise a sedere sulla sedia più vicina. Provò come una pugnalata allo stomaco, sbiancò in volto e per un attimo che sembrava un'eternità, guardava nel vuoto senza dire una parola.
«Sì, diventerò un vegetale, non potrò più lavorare, non potrò più fare l'amore con te, non vedrò più il mare, tu sarai esausta e mi lascerai...»
«Non dirlo! Non devi nemmeno pensarlo e poi... se devi ancora fare delle analisi, potrebbe non essere vero quello che dici, magari potrebbe essere una forma più leggera, guaribile, o almeno migliorabile... amore, vieni qua, abbracciami.»
Piansero insieme. 



Ruggero aveva preso a noleggio una sedia a rotelle, così che poteva muoversi più velocemente e non stancarsi troppo. Stava leggendo in giardino, mentre Zac sonnecchiava vicino a lui, quando al cancello suonò il suo amico medico. 
«Ciao Ruggero, ehi, sei abbronzato... oggi è una bella giornata... e il sole ti fa bene...»
«Vieni al sodo, Francesco, non sono ancora rincoglionito e ti conosco molto bene... cosa c'è?»
«C'è che... la risonanza magnetica ha rilevato qualcosa... »
«Qualcosa, cosa? - gridò Ruggero alzandosi dalla sedia per poi ricadere subito seduto - vedi? Non ce la faccio neppure a stare in piedi... allora? Ce l'ho o non ce l'ho la sclerosi?»
«Calmati!»
«Sì, calmati... si fa presto a dirlo! Ti rendi conto di come mi sento e come finirò?»
«Ascoltami... qualche lesione c'è, ma la sclerosi multipla si presenta con sintomi diversi da individuo a individuo e milioni di persone ne sono colpite in tutto il mondo, oggi però esistono terapie efficaci per contrastare questa patologia. Farai attività fisica adeguata, una dieta corretta e bilanciata...»
«Basta, non voglio sentire altro... saprò io cosa fare, c'è un bel posto che mi aspetta... da dove si può vedere anche l'ultimo tramonto.» 
«Non dire cazzate, Ruggero, ci sono persone che hanno migliorato il tono muscolare per poter camminare meglio, hanno ridotto la sensazione di affaticamento, hanno avuto l'aumento della flessibilità degli arti inferiori e delle articolazioni e soprattutto hanno migliorato l'umore. Sembra che qualcuno sia anche guarito. Lo so, non è facile affrontare tutto questo, ma non devi mai perdere la speranza.»






Fuori stava piovendo e Ruggero era di malumore, Zac usciva ogni tanto sotto la tettoia in giardino per fare i suoi bisogni e Arianna ritardava a venire a casa.
Non stavano passando un bel periodo, lui era sempre nervoso perché le terapie davano pochi risultati e lei qualche volta restava dai suoi genitori perché faceva tardi in farmacia. Tutto andava come Ruggero aveva previsto, lei si sarebbe stancata e lo avrebbe lasciato.
Non poteva darle torto, perché stare con una persona in quelle condizioni non era facile e anche se diceva di amarlo, aveva la sua vita, il lavoro, un avvenire, mentre lui... 


«Ciao, scusa il ritardo, ma quando piove le strade si allagano e c'era molto traffico e poi...»
Arianna, prima ancora di togliersi l'impermeabile, lo aveva salutato e si era seduta accanto a lui.
«... e poi mi sono trattenuta con mio padre.»
«Già, tuo padre... il Generale che non sopporta che sua figlia faccia la crocerossina ad un miserabile... cosa si è inventato questa volta?»
«Ti ricordi, ti avevo parlato dell'altra farmacia che rilevò a Milano? Mi ha detto che devo andare a sostituire il farmacista che si è trasferito in un'altra città e io... »
«Devi andare? Neanche ti ha chiesto se vuoi? Lo so che è una scusa per allontanarti da me e tu, tu, cosa hai deciso?»
«Amore, ascolta, andrò per qualche mese e poi...»
«E non chiamarmi amore, so già quello che hai deciso... vattene via!»
«Starò via solo il tempo necessario per riorganizzare la farmacia e trovare un sostituto, poi tornerò e starò sempre con te.» 
«Non tornerai, lo so, tuo padre troverà sempre qualche pretesto per trattenerti... e intanto il tempo passerà, il tuo amore piano piano si trasformerà in affetto, ti sentirai in colpa ma non potrai lasciare il lavoro... magari passerà dalla farmacia un altro bel rappresentante che ti inviterà ad uscire... vattene via, Arianna, vattene subito!» 








«Zac, voglio chiamare Elisa, voglio scusarmi per ieri sera che non le ho aperto e dirle che devo partire, prendimi il cellulare!»
Stava accucciato ai suoi piedi, come sempre, non lo lasciava mai solo e appena il suo padrone gli dava un comando ubbidiva, ma questa volta sembrava che avesse intuito qualcosa di strano.
«Sì, devo partire, come ho fatto altre volte e tu mi hai aspettato, questa volta starò via un po' di più, ma ci sarà Elisa con te, ti vorrà bene, ti porterà a correre al rio e sulla scogliera a vedere i gabbiani... dai, prendimi il cellulare!»






Zac stava silenzioso col muso per terra, mentre Ruggero preparava la valigia perché aveva detto ad Elisa che sarebbe dovuto andare per qualche giorno a fare fisioterapia alle terme e lei, se poteva, sarebbe rimasta a casa sua per accudire il cane.
Era soltanto una bugia, ma Zac era un cane speciale e aveva intuito.




Ruggero guardava la valigia posta sul sedile posteriore e aveva le lacrime agli occhi, poi scese a fatica dalla macchina dopo aver messo fuori la sedia a rotelle che teneva sul sedile accanto al suo, lasciò lo sportello aperto come faceva sempre quando portava anche Zac e si avviò verso la scogliera.
Anche quel giorno un leggero vento di maestrale increspava il mare e le piccole onde riflettevano i colori del tramonto, lo specchio d'acqua mandava riflessi porporini e dorati e alcuni gabbiani sostavano guardando verso l'orizzonte, come se aspettassero l'oscurità per riposare. Sugli scogli, la sagoma in controluce del solito pescatore solitario si apprestava a riporre i suoi attrezzi e una barca a vela in lontananza rientrava in porto. Sembravano annunciare che un'altra giornata stava finendo.
Ruggero, a pochi metri dal precipizio, teneva la mano tremante sul freno della sedia, il suo viso era tirato e senza espressione ma gli occhi, ancora umidi, guardavano oltre il confine del mare ripassando tutta la sua esistenza come in un film in bianco e nero, come quando di notte non riusciva a dormire e le immagini felici con Zac e con Arianna, si alternavano con la fatica che subiva, con la disperazione che provava... era un'ossessione senza speranza.
Basta poco, è solo un attimo - pensava - poi l'incubo sarà finito. Dai, lascia questo cazzo di freno! 


Era giunto finalmente il giorno in cui il coraggio di farla finita aveva preso il sopravvento alla paura e la decisione che aveva maturato da tanto tempo, si stava realizzando.


Il mare sotto la scogliera era silenzioso, quasi in attesa, anche i gabbiani si erano chetati e un leggero vento rinfrescava la fronte sudata di Ruggero. Poi, l'abbaiare di un cane interruppe quel silenzio.
Zac si era nascosto dietro al sedile e dopo che Ruggero si era fermato sulla scogliera, era sceso per correre vicino al padrone. 
Si mise davanti a lui, poggiò le zampe anteriori sulle sue gambe come se volesse spingerlo indietro e lo guardava scodinzolando come a dire: non farlo, ci sono qua io ad aiutarti! 


FINE




10 commenti:

  1. Quante emozioni tra le righe di questo tuo racconto! :-)
    bentrovata a te e alla tua penna!!
    Aspetto il seguito! :-)

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  2. Grazie Calogera, ci sto provando e domani forse aggiungerò qualche altra pagina.

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  3. Sto piangendo...mi hai davvero emozionata!
    Grazie, grazie mille!

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  4. ciao, mi sono un po' perso nel racconto, prometto di rileggerlo. Un fulmine ha interrotto il collegamento internet in tutta la valle da due giorni. Uno schifo solo col cellulare si può accedere al sistema web
    Buona settimana Nadia

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  5. Giù il cappello per te, amica mia. Chi sa emozionare il lettore come sai fare tu non possiede solo l'arte della scrittura, perchè prima ancora della mente scrive on il cuore.
    Complimenti Nadia e tutta la mia stima.
    haffner

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    1. Ciao Haf, stavo in pensiero per quello che avevo letto da Cipralex, riguardo alla tua mamma e il tuo stato d'animo percepito nell'ultimo post del tuo blog.
      Magari, se vuoi, scrivimi una mail.

      Grazie del tuo commento e un abbraccio.

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  6. Anonimo30.7.14

    Ciao Nadia.
    Ho letto il racconto, ed i miei pensieri ad esso riguardanti si sviluppano su più livelli.
    A livello emozionale, a me piacciono i racconti intrisi di vita 'reale', malinconia e solitudine. Devo dire che, alla fine, mi aspettavo che alla fine si buttasse.
    A livello di 'speranza', è bello vedere che anche un soggetto inconsapevole (o non pienamente consapevole) (mi riferisco a Zac) possa alla fine con le sue azioni determinare un percorso di vita delle persone con cui convive. Io credo fermamente che ciò accade veramente nella vita di ognuno di noi, una sorta di sliding door invisibile di cui noi non ci rendiamo conto.
    A livello di storia devo dire che io conosco bene una persona con la stessa malattia, ma che ha reagito in modo del tutto diverso al destino avverso. Nonostante il peggioramento graduale, e la necessità di terapie continue, ha avuto il coraggio di sposarsi e di avere un bellissimo figlio. Il coraggio che è mancato al tuo protagonista (mica una critica, solo una contrapposizione). Questo mio ex collega, con cui sono rimasto in contatto, ora è sulla sedia a rotelle, ma la forza di andare avanti non gli manca, nonostante si renda perfettamente conto che il peggioramento sarà graduale.
    Ciao

    Kikkakonekka

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    1. Se avessi fatto buttare dalla scogliera il personaggio, avrei dovuto cambiare il titolo. :-)

      Grazie K, del tuo commento.

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  7. Un caro saluto Nadia, buona domenica.
    haffner

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    1. Grazie carissimo, buona domenica anche a te. Qui ha diluviato finora.

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